Cultura
RAVENNA FESTIVAL / Intervista a Paolo Rumiz
"Racconto il mito di Europa ambientandolo nel Mediterraneo di oggi. Noi usiamo il mare per la vacanza, ma abbiamo dimenticato il ruolo che abbiamo sempre avuto nella storia, quello di essere il baricentro di un mare unico al mondo"
Il mito greco di Europa, l’importanza del Mediterraneo per la nostra storia e la nostra cultura, l’evidente contraddizione con una cronaca che ci parla quotidianamente di barconi, di migranti e di intolleranze. Tutto questo può diventare anche un poema in musica: quanto più intrigante se l’autore è un giornalista come Paolo Rumiz, costante viaggiatore, straordinario cantore del nostro continente e delle commistioni fra oriente e occidente.
Assieme al flautista Fabio Mina, Rumiz farà tappa questa sera allo stadio dei Pini di Cervia per Ravenna Festival, con lo spettacolo “Quell’Europa che viene da Oriente”.
Rumiz, che spettacolo dobbiamo aspettarci?
Da due anni e mezzo, fra continue interruzioni, sto scrivendo un libro in endecasillabi in cui racconto il mito di Europa ambientandolo nel Mediterraneo di oggi. Non è ancora finito: la Pandemia era occasione perfetta per chiuderlo, ma le cose che succedevano erano più importanti, allora ho scritto un altro libro sul pericolo del catastrofismo generalizzato, e spero di pubblicare questo entro il 2020. Ne leggerò comunque molti estratti: col flauto traverso di Fabio Mina che accompagnerà il racconto in modo spontaneo, seguendo il ritmo del verso.
Perché il mito di Europa?
Intanto perché un mito è sempre valido, non muore, si riattualizza con gli eventi. Questo racconta di una principessa libanese, chiamata Europa, che viene rapita da Giove: il re degli Dei si trasforma in come toro bianco mansueto, la fa salire sulle spalle e se la porta a nuoto – un’immagine stupenda - per tre giorni fino a Creta, dove all’ombra di gigantesco albero la possiede, dopo essersi trasformato in aquila.
Il Mediterraneo come patria comune è un concetto caro a una lunghissima tradizione, culturale e storica: basti pensare, anche in tempi recenti, alle opere di Braudel o Matvejevic. Però la cronaca odierna fa pensare che molti italiani non abbiano più questa percezione.
Ma la storia dovrebbe dirci il contrario…
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