Sopra le righe
Architettura, «una nuova visione con al centro la qualità». INTERVISTA
Come sfuggire alla schiavitù nei confronti delle logiche di mercato. Ne parla Marco Biraghi all'incontro organizzato dall’Ordine degli Architetti
Può l’architetto attuale sfuggire alla schiavitù nei confronti delle logiche di mercato, e muoversi piuttosto all’interno di esse rivestendo ancora un ruolo che conta? Può l’architettura attuale produrre “qualità” in un’epoca che sembra dominata esclusivamente dalla standardizzazione e dai meri interessi economici?
Temi al centro dell’incontro organizzato dall’Ordine degli Architetti della provincia di Ravenna venerdì 22 settembre alle 17, al Seminario Arcivescovile: ne parla Marco Biraghi, professore di Storia dell’architettura contemporanea presso il Politecnico di Milano e autore di testi importanti come “Storia dell’architettura italiana 1985-2015” (Einaudi 2013, con S. Micheli), “L’architetto come intellettuale” (Einaudi 2019), “Questa è architettura” (Einaudi, 2021).
Professore, perché oggi sembra così arduo mettere assieme qualità del prodotto e richieste del mercato?
Perché le dinamiche del mercato attuale tendono a puntare sempre più su una possibile diminuzione sia dei costi, sia di tempi di realizzazione. E siccome alcune tempistiche sono ineliminabili – penso ai tempi burocratici, ma anche alla consegna dei materiali – allora il committente tende a ridurre al minimo la fase progettuale, l’unica sulla quale può incidere direttamente. A tutto scapito della qualità della progettazione architettonica, che dunque è sempre meno richiesta.
Ma succede così ovunque?
In Italia purtroppo sì, più o meno. Già in Europa, ci sono paesi che hanno una considerazione maggiore della qualità architettonica, e quindi un approccio diverso: in Francia, in Germania, nei paesi nordici l’architettura è considerata un bene comune, anche quando si tratta di opere realizzate da privati.
Come si può invertire questa tendenza?
Innanzitutto, rendendosi conto che siamo di fronte a un problema, e non semplicemente accettare le cose come vanno. Purtroppo, l’architetto è spesso un soggetto debole di queste dinamiche: eppure ci sono esempi di situazioni in cui gli architetti stanno cercando di riappropriarsi di questa dinamica, senza farsi sovrapporre dalle semplici logiche del mercato.
In questo contesto, quanto può essere rilevante il ruolo degli Ordini?
Il primo obiettivo, già importante, potrebbe essere quello di far sentire meno soli gli architetti, che spesso sono anche costretti a una competizione fra loro. E’ vero che competere a volte può stimolare a raggiungere risultati qualitativamente migliori, ma in molti casi si tratta solo di una dinamica che indebolisce la categoria, mentre sarebbe importante lavorare assieme, sviluppando di più una sorta di “coscienza di classe” della professione, trovando soluzioni che facciano il bene dell’architettura, non solo del cliente. E’ certamente un obiettivo difficile, ma dal mio punto di vista è anche indispensabile.
Secondo lei, ci si sta muovendo in questa direzione?
Mi pare che ci sia uno sforzo, almeno in certe parti d’Italia, da parte degli ordini più illuminati. Che non devono ragionare solo in termini di difesa sindacale, ma aiutare la collettività alla costruzione di una nuova vision dell’architettura, che abbia appunto al centro la qualità. Incontri come quello ravennate – organizzati da un Ordine provinciale che da qualche tempo mi pare molto attivo – dovrebbero aiutare proprio a questo…
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