Menù e portamenù unici, la passione di Franco Chiarini | la CRONACA di RAVENNA

Menù e portamenù unici, la passione di Franco Chiarini

Il "cartoncino" del 1932 per il Sen. Corrado Ricci. Una provocazione: raccogliere gli ‘ephemera’ dei collezionisti ravennati con una esposizione permanente, continuamente variata, alla Classense

11 maggio 2020 - Lo spunto viene da una chiacchierata casuale, nell’atmosfera “sospesa” creata dal coronavirus. Si parla di cucina, di piatti e arriva la parola menù. E Franco Chiarini, segretario di ‘Menù Associati’, comincia a raccontare.

Quando e perché è nata l’esigenza di avere un menù?
Nel 700 il menù non esisteva e non se ne sentiva la mancanza. Allora imperava il servizio “alla francese” e tutte le portate di un pranzo, anche se frazionate in tre servizi successivi, venivano presentate contemporaneamente ai commensali. Il menù era superfluo, perché le vivande erano ben visibili a tutti. Questo sistema è ancora lo stesso degli attuali pranzi a buffet.

Nel giugno del 1810, nel suo palazzo di Clichy alle porte di Parigi, il principe Borissovic Kurakin, ambasciatore dello Zar Alessandro I presso Napoleone Bonaparte, offrì un pranzo con un nuovo e sorprendente tipo di servizio: le portate comparvero e furono servite una alla volta, in una sequenza imprevedibile per i commensali e stabilita dall’anfitrione. Da qui il nome ‘alla russa’.
Le portate erano molto più numerose, almeno una dozzina, e si avvertì la necessità di informare gli ospiti, appunto con un menù, della loro successione e consistenza, affinché potessero regolarsi nelle quantità, poiché l’etichetta esigeva che ogni vivanda fosse assaggiata e sarebbe stata grave scortesia non farlo.

Quali furono i Paesi in cui si diffuse?
Belgio, Germania, Inghilterra e Russia furono le prime nazioni nelle quali il menù trionfò, con esemplari di gran pregio già dagli anni 40 dell’Ottocento. Gli Stati Uniti d’America si accodarono con sorprendente rapidità, mentre in Francia e a Parigi gli anni d’oro per i menù furono quelli della “bell’époque” all’incirca dal 1880 alla prima guerra mondiale.

La passione per questi “cartoncini” e per i portamenù come si è concretizzata in una sua collezione’
Più di vent’anni fa, verso la fine del terzo millennio, vidi da Silverio Cineri alcuni menù di navi con la riproduzione di dipinti figurativi del pittore Salietti che aveva trascorsi ravennati. L’innata bontà e la lunga amicizia con Silverio fece sì che me ne regalasse qualcuno. Altro che amicizia! E’ stato l’inizio di una travolgente e ossessiva ricerca di altri menù di qualsiasi tipo che allora (ebay non era ancora nato) si trovavano soprattutto nei mercatini e nelle librerie antiquarie.

Oggi oltre 10.000 menù riempiono una stanza, anche perché sono esposti oltre 100 portamenù e segnaposto di diversi materiali (argento, vetro, porcellana…) nel senso che sostengono menù o segnaposto e altrettanti portamenù in ceramica, anch’essi soprattutto fra ‘800 e ‘900, costituiti da quelle ‘tavolette’ per le tavole borghesi o nobiliari su cui si scrivevano i menù… a matita.
Circa 200 menù fino al 1870, 4.000 dal 1871 al 1919, 5.000 dal 1920 al 1960 e oltre 2.000 menù… fino ai giorni nostri.

La prevalenza dei menù è ovviamente francese (circa il 50%) in uno spettro che ricomprende tutto il mondo. Seguono i menù italiani, inglesi e tedeschi. Una particolare collezione di oltre 100 menù in ‘carta porcellana’, ovviamente con netta prevalenza di belgi, fa parte di un patrimonio da non disperdere.
Particolare attenzione anche ai diners o clubs (soprattutto anche in questo caso ovviamente in prevalenza parigini), ai menù della massoneria, alle raccolte (una decina) di collezionisti di menù dell’800 e del ‘900.
La raccolta di menù dell’Emilia-Romagna, non essendo molto sviluppata nella nostra regione questa cultura, è di poche centinaia di pezzi, di cui alcuni rari dell’800.

Ha pubblicazioni di e sui menù?
Ho raccolto oltre duecento pubblicazioni sui menù (circa 100 di libri) oltre a una ventina di mie pubblicazioni, in buona parte in collaborazione con l’amico-presidente di ‘Menù Associati’ Maurizio Campiverdi, con particolare attenzione ai cataloghi di mostre.

Quali analisi suggerisce la storia dei menù?
Il periodo ‘strategico’ di fine ‘800 e primi ‘900 riassume gran parte del periodo d’oro del menù. Una analisi dei circa ‘800 diners parigini sarebbe un compito fondamentale anche dal punto di vista sociologico e per il rapporto fra gastronomia, arte, design, cultura in una capitale mondiale di prim’ordine.
Inoltre, proseguendo il lavoro d’avanguardia di Domenico Musci, una pista importantissima è il collegamento fra menù, piatti e ricette per iniziare a ‘riscrivere’ la storia della gastronomia basata su ‘veri mangiari’.

Storia dei menù e storia della gastronomia, come sono collegate?
La storia dei menù si intreccia ovviamente con la storia della gastronomia… ovviamente ma non troppo, considerando la quasi totale assenza di considerazioni sui menù da parte dei critici-storici gastronomici.
A chi come me è interessato alla ‘cucina d’autore’, che ha come capostipite indiscusso Ferran Adrià e sommo rappresentante in Emilia-Romagna Massimo Bottura, la dimensione dell’evoluzione della gastronomia per ambiti culturali e la ripresa di contributi storici ha un notevole interesse. E così il rapporto fra cultura e gastronomia e il rapporto fra medicina e gastronomia, fra gastronomia e architettura e paesaggio…

La sua ‘vena’ perennemente propositiva, quale idea provocatoria suggerisce legata alla storia dei menù da realizzare nel nostro territorio?
La food valley Emilia Romagna può essere la depositaria della storia della gastronomia attraverso le istituzioni che custodiscono menù unici al mondo: Academia Barilla di Parma, Casa Artusi di Forlimpopoli, Museo della Figurina di Modena tutti insieme possono dar vita a un museo itinerante di storia dei menù, della loro grafica e della cucina di casa, unico al mondo.

Un’altra idea può essere quella di raccogliere gli ‘ephemera’ dei collezionisti ravennati con una esposizione permanente, ancorché continuamente variata, che abbellirebbe alcune sale della Biblioteca Classense.
Una raccolta unica, che già vede diversi fondi alla ‘Classense’ e che potrebbe essere arricchita da menù, da immagini pie, da raccolte insomma di tanti ravennati grandi collezionisti di oggetti in gran parte cartacei e di assoluta originalità.
Un modo di incuriosire ulteriormente il turista e di costituire anche un embrione di museo della città con la documentazione locale che attirerebbe anche noi ravennati e ci stimolerebbe a contribuire a conoscere meglio la nostra storia.

nelle foto allegate:

- il menù del pranzo imbandito dalla Società della Casa Matha in occasione dell'inaugurazione della nuova residenza il 7 febbraio 1904;

- il menù del III Congresso Internazionale di Archeologia Cristiana tenutosi a Ravenna il 25 settembre 1932: sul "cartoncino" , che è anche segnaposto, è riportato il nome del Senatore Corrado Ricci;

- il menù del ristorante "Gigiolè" di Brisighella in occasione della Giornata della Ceramica il 7 giugno 1957.





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