Dante2021. Mentana e Mogol illuminano i Chiostri | la CRONACA di RAVENNA

Dante2021. Mentana e Mogol illuminano i Chiostri

Tutti insieme a cantare La canzone del sole per la chiusura del Festival della Fondazione Cassa di risparmio

12 settembre 2021 - Si è chiuso con la bellezza delle parole in tutte le sue forme, il festival ‘Dante 2021’ che, sabato sera agli Antichi Chiostri Francescani, ha premiato il noto giornalista Enrico Mentana e il poeta-autore Mogol, pseudonimo di Giulio Rapetti.

Al primo, che ha tenuto alta l’attenzione del pubblico con la sua parlantina chiara e fluente, è stato attribuito il premio ‘Dante-Ravenna 2021’, mentre al secondo, che ha emozionato svelando le storie nascoste dietro i suoi testi più celebri, con il premio ‘Parole e Musica’.

Incalzato dalle domande del direttore artistico del festival Domenico De Martino e da Riccardo Guardo dell’Accademia della Crusca, Mentana – detto ‘mitraglietta’ – ha iniziato parlando del suo rapporto con Dante. «Anch’io come tutti – racconta – mi sono imbattuto nel Sommo Poeta al liceo negli anni del nascere delle pulsioni politiche e sentimentali. Insieme a Omero, rappresenta l’eccellenza, scoprirlo è stato come gustare per la prima volta canditi o caviale. Dante ‘resta’ dentro nel tempo perché le sue parole sono ossigeno nei polmoni, e fanno capire che c’è qualcosa di molto più importante del semplice imparare a memoria. È stato capace di inventarsi un universo, spingendosi oltre le sue stesse conoscenze, ci ha fatto allargare lo sguardo e cambiare la lingua».

E così come Dante è stato geniale nel fare la sua ‘Divina Commedia’ secondo uno stile diverso dell’epoca, Mentana si è guadagnato l’Olimpo del giornalismo difendendo a spada tratta il motto: “Parlate come mangiate”.
«Quando ho iniziato nel 1980 al Tg 1 – ricorda –, c’erano tanti stereotipi. Per esempio il ministero degli Esteri francese diventava il titolare del Quai d’Orsay, oppure si descriveva un incidente usando parole del tutto estranee al linguaggio comune come veicolo, automezzo, il luogo del ‘sinistro’, un elenco lunghissimo. Così, quando ho fondato il Tg5 la prima cosa che ho preteso dai miei collaboratori è stata di sfrondare, per essere chiari e diretti col pubblico. Non c’è bisogno far vedere di essere ‘fighi’, perché il giornalismo deve essere prima di tutto fruibile. Poi ho abolito l’uso del gobbo elettronico in quanto il conduttore deve portare l’energia della notizia senza alcuna dispersione. Meglio incepparsi che sembrare degli automi».
Mentana, infine, si è espresso sulla deontologia professionale dicendo che chi ha passione per l’informazione non ne ha bisogno perché sa qual è il modo più corretto di dare le notizie, senza farsi ingabbiare da codici e trattati.

Poi, è arrivato il grande momento di Mogol, 85 anni ben portati, presentato da Edoardo Buroni dell’Università Statale di Milano. Ha tenuto subito a precisare che non gli piace essere definito ‘paroliere’. «Sarebbe come dire giornalaio al giornalista – spiega –. A fare le canzoni sono gli autori, mentre i parolieri da sempre si occupano delle parole crociate. A cosa penso mentre scrivo? A quello che mi trasmette una certa musica. Ogni frase ha il suo senso musicale nelle parole. Distinguo la musica in bella o brutta, e solo la prima è un piacere e una forma d’arte».
Mogol si è poi spinto a spiegare il concetto di talento. «Sono molto fortunato e lo dico per onestà – rivela –. Mi sento come protetto, aiutato come uno che ha un canale ricevente. A chi mi dice che ciò è frutto del mio talento, rispondo che in realtà il talento è latente in ognuno di noi, aspetta solo di essere coltivato. L’automatismo, che deriva dal lavoro e dall’esperienza, è sempre di aiuto. Il genio è invece diverso: a lui l’automatismo non serve perché è inspiegabilmente precoce. Qualche esempio? Lucio Battisti e Gianni Bella».

Nel finale, la musica è diventata protagonista grazie all’intervento del cantautore bolognese Riccardo Cesari, che ha cantato ‘I giardini di marzo’ di Battisti, in cui Mogol parla della sua infanzia nel dopoguerra, tra povertà e difficoltà familiari, e di quel gelato che comprava a 10 lire; ‘Il mio canto libero’, sempre di Battisti, che Mogol scrisse dopo la separazione dalla moglie definita ‘il più grosso sbaglio della mia vita’; ‘Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi’, testo che più di tutti evidenzia il parallelismo tra parole e musica fra alti e bassi; ‘L’emozione non ha voce’, il grande successo targato Bella e poi riproposto da Celentano; ‘La canzone del sole’, nuovamente di Battisti, in cui l’autore-poeta si ricorda del suo primo amore di bambino che immagina di rincontrare da grande.
Vedere Mogol sussurrare le sue parole insieme al pubblico, è stato qualcosa di unico.

(link al video per rivedere/riascoltare la serata)


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