Cultura
Carlo Ossola: “Non perdiamo la memoria di Dante”. INTERVISTA
Il presidente del Comitato nazionale per le celebrazioni del settimo centenario ha partecipato a Ravenna all’apertura del Festival Dante2021+1
Presidente fin dal 2017 del Comitato nazionale per le celebrazioni dei settecento anni dalla morte di Dante Alighieri, Carlo Ossola è tra gli studiosi italiani più autorevoli: filologo e critico letterario, attualmente insegna al Collège de France di Parigi e ha all’attivo una nutrita serie di pubblicazioni, oltre all’appartenenza a istituzioni di grande rilievo come l’Accademia dei Lincei.
In questi giorni, Ossola è a Ravenna dove nel pomeriggio di mercoledì 14 ha partecipato all’inaugurazione del Festival Dante2021+1 presso gli Antichi Chiostri Francescani di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, che fin dalla prima edizione ha promosso e sostenuto il Festival.
Ossola ha dialogato con lo scrittore Alberto Manguel sulla mostra “Dante. Orizzonti dell'esilio / The Landscapes of Exile” con immagini fotografiche di Nicola Smerilli, tratte da un libro con testi dello stesso Manguel.
L’omaggio a Dante per il settimo centenario prosegue in effetti quest’anno, visto che la pandemia ha reso inattuabili diverse iniziative nel corso del 2021, ma la figura del Sommo poeta deve restare centrale anche dopo la conclusione delle celebrazioni; in particolare, deve esserlo nella scuola, dove corre invece il rischio di diventare una presenza sempre più scarna. Ne è convinto Carlo Ossola, che di questo e altri argomenti legati a Dante ci ha parlato durante l’intervista che ci ha concesso.
Professor Ossola, potrebbe fare una sorta di bilancio delle celebrazioni dantesche, anche se in parte sono ancora in corso? Hanno indicato delle strade, lasceranno qualcosa di importante?
“Il giudizio può essere positivo sotto molti aspetti. Il primo è la partecipazione larga della cittadinanza. A partire dalle parole del Presidente della Repubblica sino alle celebrazioni nei principali luoghi danteschi: Firenze, Verona e Ravenna – e soprattutto Ravenna perché l’Alighieri è morto qui – Dante è stato veramente sentito come il custode di un tratto identitario, alto e condiviso, della civiltà italiana. Lo stesso primo trattato sulla lingua italiana, il De vulgari eloquentia, pone subito l'identità italiana a un livello “illustre” e universale, definendo così la coscienza di una nazione che ha la sua radice nell’eloquio comune ma anche nell’aspirazione al bene universale. Questo è certamente un valore positivo che ha messo sotto silenzio un eccesso di particolarismi regionali che si stavano affermando nel nostro Paese.”
E per quanto riguarda Ravenna in particolare?
“Un secondo dato positivo è proprio l'impulso che Ravenna ha dato alle celebrazioni, non soltanto perché è il luogo dell’ultimo esilio e della morte di Dante, ma perché una città intera si è identificata con un autore divenuto il simbolo stesso della vita quotidiana. Si pensi alla lettura continua del poema aperta a tutti i cittadini e visitatori; ma anche al gemellaggio, per così dire, di iniziative dantesche tra due città che non erano destinate di per sé a incontrarsi, cioè Ravenna e Firenze.
Un altro elemento importante è stato il fatto che queste celebrazioni dantesche non si sono ridotte ai luoghi eponimi, ma hanno coinvolto l'intero Paese. Al Comitato per le celebrazioni sono arrivate più di cinquecento domande di patrocinio e finanziamento; abbiamo approvato cento progetti e ne sono stati realizzati novantotto. Non c'è nessun settore produttivo del paese che abbia una così forte capacità di realizzazione, quindi da questo punto di vista il bilancio è molto positivo".
Ci sono anche aspetti più critici da prendere in considerazione?
“Sì, sulla durata di questa memoria del centenario 2021 gli elementi sono più in chiaroscuro. Se io penso per esempio al centenario precedente, 1965, devo constatare che non abbiamo più quei poeti che hanno rilanciato e riscritto la memoria di Dante: non c'è Ungaretti, non c'è Montale, non c'è Luzi, non c'è Saint-John Perse".
La memoria di Dante si sta perdendo anche nella scuola?
“L'eredità di questo centenario è proprio nell'impegno rinnovato a far sì che Dante continui a essere presente nella scuola.
Avevamo lanciato con il Ministero della Pubblica istruzione l'idea di una sorta di Olimpiade studentesca, ma purtroppo non si è realizzata; abbiamo invece finanziato, perché Dante continui a essere presente, dei corsi di aggiornamento estivi per insegnanti in tre sedi italiane: una al Nord, Verona, una al centro, Siena, e una al sud, Napoli.
Anche quest'anno verrà rinnovato l’impegno, ma è inutile nascondere il fatto che nelle scuole non si legge più la Divina Commedia della sua interezza, ma solo qualche episodio come quello di Ulisse o una selezione sempre più smunta di episodi consacrati. Questo è un campanello d'allarme.
Le celebrazioni vanno bene, ma ciò che conta è la durata dell'impegno, che sta nella lettura continua a scuola e, se possibile, anche nell'apprendimento a memoria di canti, perché, come dice Italo Calvino, la memoria va esercitata sempre, da giovani e da vecchi.
Vedo che presso quasi tutti gli editori scolastici i volumi riservati a Dante diventano sempre più smilzi: non vorrei che arrivassimo al prossimo centenario soltanto con il ricordo delle antologie dantesche che esistevano nel 2021…”.
Lei ha già partecipato in diverse occasioni al Festival Dante 2021 e conosce bene Ravenna: che cosa apprezza in particolare del Festival e della città?
“Inizierei da Ravenna, perché non si può leggere la Commedia senza pensare che è stata completata e in larga misura scritta, per la parte che riguarda il Paradiso, a Ravenna sotto lo sguardo dei mosaici bizantini. La Commedia è questa conciliazione tra Occidente e Oriente, è essa stessa un'icona dell’eternità, quindi bisogna venire a Ravenna per saper leggere Dante.
Per quanto riguarda il Festival, la caratteristica secondo me più rilevante è il tenere insieme il rigore dell'ermeneutica dantesca, cioè la serietà dell’interpretazione di Dante, con il bisogno di renderlo costantemente nostro contemporaneo. Un autore è un classico se, come dice ancora Calvino, non finisce di dire quel che ha da dire. Ecco perché è necessario guardare alla contemporaneità per porre a Dante le domande che il suo poema implica e rinnova".
Patrizia Luppi
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