Elio racconta Enzo Jannacci: “È unico e grandissimo”. INTERVISTA | la CRONACA di RAVENNA

Elio racconta Enzo Jannacci: “È unico e grandissimo”. INTERVISTA

Lo spettacolo “Ci vuole orecchio”, dedicato al cantautore milanese, è in programma per questa sera a Cervia

31 luglio 2021 - “La mia regola è fare cose che mi piacciono, che mi stimolano, che mi fanno ridere”. Elio, sessant’anni compiuti ieri (“ma me ne sento trentacinque”), non fa pesare niente, ma riassume in una formula leggera cose molto importanti: la sua anima di musicista eclettico, il senso del teatro, gli interessi in campi diversi, la vasta cultura, la voglia di sperimentare e di cimentarsi sempre.

Questa sera si metterà in gioco con lo spettacolo “Ci vuole orecchio”, che sta portando in giro per l’Italia in una tournée dalle molte tappe: dalle 21.30, nella piazza Garibaldi di Cervia, reinterpreterà le canzoni di Enzo Jannacci e introdurrà il pubblico al mondo “comico e struggente” del cantautore milanese, in uno spettacolo ideato con il regista e drammaturgo Giorgio Gallione.

Con Elio, cinque giovani musicisti (Seby Burgio pianoforte, Martino Malacrida batteria, Pietro Martinelli basso e contrabbasso, Sophia Tomelleri sassofono e Giulio Tullio trombone) eseguiranno gli arrangiamenti delle canzoni approntati da Paolo Silvestri; si ascolteranno anche pensieri di compagni di strada reali o ideali di Jannacci, come Cesare Zavattini, Michele Serra, Umberto Eco o Carlo Emilio Gadda.

La serata, l’ultima di questa tornata del Ravenna Festival e della rassegna Il Trebbo in musica 2.1, è organizzata in collaborazione con La Milanesiana. Ne abbiamo parlato con il protagonista.


Elio, come ha scoperto Enzo Jannacci?
“Era stato compagno di scuola del mio papà, che fin da quando ero piccolissimo mi ha sottoposto a un vero e proprio regime jannacciano, facendomi continuamente ascoltare le sue canzoni. Da un lato tutto quello che Jannacci ha fatto mi è risultato sempre familiare, come se fosse opera di un parente o di un amico, dall’altro è almeno da vent’anni che ho in mente di fare qualcosa con le sue canzoni.
La scintilla per questo spettacolo è scoccata con Giorgio Gallione, con cui collaboro da diversi anni: con lui ho fatto il musical ‘La famiglia Addams’ e più recentemente ‘Il Grigio’ di Giorgio Gaber, spettacoli che sono andati tutt’e due molto bene dal punto di vista del pubblico e anche dal mio, perché mi è piaciuto molto farli.
Gallione mi aveva promesso che prima o poi avremmo affrontato anche Enzo Jannacci, gliel’avevo chiesto esplicitamente, e l'occasione è nata adesso. Insieme abbiamo pensato come fare, poi il motore prevalentemente è stato lui, dall'alto della sua esperienza teatrale di più di trent’anni”.

Be’, non è che a lei l’esperienza teatrale manchi.

“Io ho più esperienza come cantante, come musicista, anche se in effetti le prime cose teatrali che ho fatto sono ormai di vent’anni fa. Ripensandoci, posso dire che l’esperienza effettivamente ce l’ho anch'io, però mi vivo sempre come una specie di principiante. Quindi mi affido a Gallione, mi fido molto di quello che dice e di quello che pensa e poi ci metto anche delle mie idee.
È venuta fuori, anche questa volta, una cosa che ci soddisfa; fortunatamente, dopo queste prime ormai quindici o sedici date posso dire che piace anche al pubblico. Sono rimasto sorpreso dall’accoglienza soprattutto nel Centro-Sud dell’Italia. Mi aspettavo una grande risposta cantando Jannacci al Nord, e infatti è arrivata, ma non prevedevo minimamente le reazioni che abbiamo avuto all'Aquila oppure vicino a Napoli, o a Olbia, dove un paio di giorni fa abbiamo avuto un successo pazzesco”.

Ma perché questa determinazione nel voler portare in scena Enzo Jannacci?

“Vabbè, da un lato è una motivazione egoistica, nel senso che a me piace cantare quei pezzi e così ho l'occasione per farlo, però è anche perché penso che Jannacci non sia stato debitamente valutato e considerato per quello che è. Ha avuto una fase di grande successo, senz'altro, più o meno negli anni Ottanta, però ha sempre sofferto del male di cui soffrono tutti coloro, compresi noi di Elio e le Storie Tese, che vengono vissuti come comici e quindi non si possono prendere seriamente.
Dunque sì, bravo bravo, però Fabrizio de André è un'altra cosa, Lucio Battisti è un'altra cosa, Giorgio Gaber è tutta un'altra storia. Invece secondo me Jannacci merita di essere messo allo stesso livello; anzi, per i miei gusti è meglio lui. Anche solo per un fatto: mi sono sempre chiesto dove abbia preso ispirazione per fare quello che ha poi fatto. Sembra che si sia inventato lui, da solo, il suo stile, e io quando vedo le cose originali le apprezzo molto.
Mi ha ispirato in tanti modi, sicuramente mi ha insegnato, fin da quando ero piccolissimo, che esisteva anche quel modo di fare arte. Non esistono solo Strehler e ‘L’opera da tre soldi’, la serietà assoluta e ogni passo un'impresa titanica; esiste anche Jannacci che racconta cose da pazzi con il suo linguaggio da pazzo”.

A unirvi c’è anche Milano.

“Sì, la milanesità è un altro aspetto importante per me e anche per questo spettacolo, perché Jannacci è giustamente vissuto come milanese anche se suo padre era pugliese: lui, come quasi tutti i milanesi compreso me, aveva origini di vario tipo. Ma Milano è quella roba lì, lo è sempre stata; è sempre stata un rifugio per persone che arrivavano da varie parti e che però l'hanno resa grande.
Qui si entra in un discorso più generale di inclusione, di accoglienza. Jannacci ha visto periodi di emigrazione e immigrazione spaventosa e ne parla anche tanto. E racconta gli ultimi, quelli che oggi sono trattati come se non fossero neanche degli esseri umani, invece lui ne parlava nel suo modo che è poi contemporaneamente drammatico e comico.
Questa è una cosa che ho sempre da un lato invidiato e dall'altro ammirato, il fatto di riuscire a far ridere fino alle lacrime e insieme a far piangere. Ed è per questo che dico che Jannacci è unico e grandissimo e merita almeno un tentativo di elevarlo a quello che merita”.

In “Ci vuole orecchio” lei non è solo sul palcoscenico.

“Sì, mi esibisco con un quintetto di giovani bravissimi che confermano l'idea che ho da molto tempo: in Italia abbiamo un sacco di giovani musicisti di grande valore che tuttavia restano lì, fermi ad aspettare. Oltre a essere bravi con i loro strumenti, i musicisti si sono anche calati perfettamente nel ruolo di miei complici: Gallione ci ha vestiti da saltimbanchi e mi sembra che interpretiamo il ruolo in maniera efficace.
Alcuni sono di formazione classica, altri no, ma fortunatamente adesso trovo sempre di più persone poliedriche, cioè in grado di passare con tranquillità da un genere all'altro. In più Sophia Tomelleri, la sassofonista, e già il fatto che sia una donna è una cosa anomala, è la nipote del sassofonista di Jannacci, Paolo Tomelleri. Questa cosa chiude il cerchio”.

Patrizia Luppi


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